In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne al Teatro Madrearte in scena “Strage di genere femminile plurale”.
Sabato 24 novembre al Teatro Madrearte di Villaricca è andato in scena lo spettacolo vincitore del Panteatro Festival 2018, “Strage di genere femminile plurale” ideato e diretto da Angela Cicala e Salvatore di Fraia che con la compagnia Teatro Aperto di Pozzuoli hanno portato in scena storie di donne, orchi e principesse sole. La platea del Madrearte si è arricchita facendo un viaggio di emozioni nella sfera femminile e dei suoi diritti, tra il pubblico i presidenti delle Pro Loco di Villaricca e Giugliano, Dott. Armando De Rosa e il Prof. Savino. “siamo qui grazie al lavoro professionale di Antonio Diana, direttore del Madrearte che con grande passione cura con una grande sensibilità questo spazio, le compagnie e il pubblico che ne accorre” – conclude Angela Cicala.
Lo spettacolo prova a fotografare istantanee sulla cultura del disprezzo verso la femminilità, su una visione distorta e malata dell’amore e che spesso contagia le stesse donne, incapaci poi di intravedere altro, oltre il silenzio e la paura. In scena solo storie vere, terribilmente vere, di donne senza diritti tratte da racconti di vita delle donne recluse nella Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli; dalle esperienze di poetesse arabe contemporanee; i reportage di Medici senza Frontiere in quei paesi, regni indiscussi dei maschi; dagli atti dei processi alle donne da parte del Tribunale dell’Inquisizione; dai casi di assassinii quotidiani sulle pagine dei giornali. L’occasione per cercare una spiegazione, per capire il senso di così tante morti violente. Non una commemorazione, allora, né una celebrazione delle donne, tanto meno un processo sommario e banale agli uomini. Non ci sono personaggi, solo interpreti di una voce unica, di genere femminile plurale, quella incapace di urlare, quella inascoltata, quella che, invece, ha preso coscienza e comincia a parlare, quella che si nasconde, mente a se stessa, agli altri, si rassegna per vergogna o si convince di colpe inesistenti. Ma c’è anche la voce di genere maschile plurale, quella che non sa ascoltare, che scarica frustrazioni e fallimenti, che scambia l’amore per possesso, che gioca a fare l’orco e sceglie la forza delle mani; e quella che, invece, per intelligenza si distingue ed è capace di abbracciare ed entrare nella pelle delle donne per coglierne i colori. Buona parte delle donne è ancora invisibile perché prigioniera dell’ignoranza, dello strapotere maschile o del pregiudizio ancestrale che pesa sulle spalle e schiaccia l’autonomia, il libero pensare, la dignità e il rispetto. E’ così per ogni società “chiusa”. Quelle del Pakistan, Guatemala, Afghanistan, India, Turchia che non sono “Paesi per donne”, se non per quelle violate, quotidianamente discriminate e ingiustificatamente umiliate e mutilate. Là dove le donne non possono stringere la mano ad un uomo, le bambine mangiano gli avanzi dei fratelli e gli uomini violenti rimangono impuniti. Ma anche le insospettabili finestre di appartamenti perbene dietro le quali sopportare amori prepotenti, attenzioni moleste, sudditanze psicologiche. Solitudini. Le donne hanno fatto fatica a costruire la propria Storia, dimenticando l’offesa di essere state umiliate come streghe, monache di clausura forzata, eroine sottovalutate; una Storia che pregiudizialmente le ha esaltate e recluse nel ruolo di madri e mogli. In un mondo di uomini. Acquisire un’identità di genere e la consapevolezza di essere e di potere essere diventa una necessità, un’urgenza per le donne di ogni angolo della Terra. Prendersene “cura” significa rafforzare la famiglia, la rete sociale e preservare, quindi, una speranza di Futuro. In nome non della parità ad ogni costo, ma del rispetto della differenza che rende ognuno di noi, maschi e femmine persone uniche e irripetibili. Per condividere il peso di storie di vita mancate.