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Dal comitato scientifico per la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletana, una speranza per riprendere e continuare ad affermare la grandezza di Napoli

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Questa mattina, sulla pagina culturale de “Il Mattino” è apparso un articolo scritto dalla prestigiosa penna napoletana di Federico Vacalebre dal titolo “Festival di Napoli, cinquant’anni di silenzio”. Una nota di malinconia per quello che la città di Napoli ha rappresentato, in ambito musicale e culturale, dal 1952 al 1970. E’ proprio in questo ventennio infatti che i maggiori esponenti della musica classica napoletana hanno varcato i confini campani per essere osannati su tutto il territorio nazionale e non solo. Tra tutti sicuramente la Pro Loco ricorda Sergio Bruni, citato anche nell’articolo di Vacalebre che sottolinea il fallimento dell’organizzazione del festival proprio nel 1971, quando il Maestro Bruni, sul palco del Teatro Mediterraneo di Napoli, era in procinto di portare una delle sue melodie più note: “Na bruna”. Dopo il 1970 il Festival fu riproposto nell’edizione isolata del 1981 e poi, in chiave rielaborata, dal 1998 al 2004, ma ormai quel vigore, quella brillantezza e quell’armonia che hanno investito milioni di spettatori in tutta Italia nel primo ventennio erano scomparsi. Le motivazioni sicuramente saranno le più diverse e le più disparate, riguarderanno la nascita del Festival di Sanremo, un evento a respiro più ampio dove ad emergere non fosse solo la lingua e la musica di un’unica regione, ma quella di un’intera nazione, oppure, le cause potranno riguardare lo scarso interesse da parte della politica e da parte delle reti mediatiche a far proseguire la tradizione musicale partenopea. In quest’ultimo caso è inevitabile sottolineare l’infondatezza e il fallimento di queste valutazioni, perché Napoli, dal 1952 al 1970 è stata, indiscutibilmente la capitale italiana della musica e della cultura. Ciò ha giovato a tantissimi settori, ma in particolate, ovviamente, a quello turistico, perché nei giorni del Festival, la città di Napoli diventava inevitabilmente un contenitore multi-regionale, ospitante persone provenienti da ogni angolo d’Italia e non solo.

Con la fine del Festival di Napoli la musica partenopea non è stata più la stessa, i grandi autori e i grandi cantanti per presentare le proprie melodie e le proprie canzoni al grande pubblico furono costretti a spostarsi lontano dalla città in cui le stesse nascevano e crescevano, tra i vicoli di Spaccanapoli e gli indelebili panorami del Golfo di Napoli. Una musica che lasciava Napoli e che approdava altrove. Con essa lo stesso risalto dei più grandi interpreti cominciò a calare in un baratro di dimenticanza lasciando spazio alle nuove voci e alle nuove melodie di un’Italia che aveva deciso di invertire la rotta, lasciandosi Napoli alle spalle.

Nella penombra e nell’oblio è potuto cadere un genere, un tipo di musica e gli interpreti che l’hanno rappresentata, ma il baratro della dimenticanza è un posto sconosciuto e inconoscibile per le emozioni che stavano alla base di quelle canzoni. Nonostante lo scarso, sennonché nullo risalto offerto alla musica napoletana dopo la fine del Festival, l’amore, la passione, la gioia e il dolore, cantato da quelle melodie non poteva e non può finire. La musica napoletana, inevitabilmente, continua a vivere, continua a risuonare sotto le luci spente dei riflettori mediatici.

Molte sono le manifestazioni e gli eventi che si sono posti in continuità con la grande tradizione musicale e culturale napoletana, tra tutti il “Premio Villaricca Sergio Bruni – La canzone napoletana nelle scuole”, istituito dalla Pro Loco di Villaricca con il Miur, sin dal lontano 2003. Un  tentativo di far continuare la tradizione napoletana offrendo un gancio culturale alle nuove generazioni delle scuole di tutto il territorio campano. La risposta da parte dei giovani fu ampissima, furono scoperti nuovi cantanti, nuovi musicisti, nuovi artisti e nuovi parolieri che si ritrovavano dinanzi ai grandi nomi della musica e della lingua napoletana come il Maestro Salvatore Palomba e le figlie di Sergio Bruni.

Nonostante il grandissimo clamore dell’iniziativa  e i tantissimi giovani talenti scoperti però, i riflettori mediatici, gli stessi che avevano causato il crollo e la fine del Festival di Napoli, continuavano ad essere spenti. L’appello va alle istituzioni e alla politica, proprio a coloro che hanno il ruolo istituzionale, ma ancor prima morale,  di valorizzare la cultura e il turismo del nostro territorio. Un appello che mira a far riaccendere una volta per tutte quei riflettori che, come ricorda l’articolo de “Il Mattino”, sono spenti ormai da cinquant’anni. Il primo passo in questa direzione forse già è stato fatto, con la nomina del Comitato Scientifico per la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano, la Regione Campania ha già mostrato il primo segno di una nuova voglia, un nuovo obiettivo per la cultura napoletana, quello di rinascere seguendo le orme della tradizione. L’impegno deve continuare, deve mostrarsi giorno dopo giorno più vigoroso, per offrire alle nuove generazioni quella continuità culturale e musicale che hanno tanta voglia di riscoprire e riproporre al mondo intero.

 

Francesco Topo

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